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La tragedia dello Stadio Olimpico, aggravata dal diffuso clima di violenza che caratterizzò molti stadi in quel periodo, scosse l'opinione pubblica e la questione "ultras" divenne di grande importanza sia per la stampa che per le autorità. Vennero adottate misure drastiche: le aste delle bandiere, i tamburi e persino gli striscioni con simboli di guerra vennero banditi dagli stadi per diversi mesi.
Gli anni Ottanta videro una progressiva ed inesorabile espansione di gruppi ultra, che iniziarono ad essere formati anche, in alcuni casi, da migliaia di membri. Non esisteva squadra, sia nel Nord che nel Sud Italia, prima divisione o terza, non supportata da uno o più gruppi di giovani organizzati. Questa proliferazione naturalmente portò allo sviluppo di una complessa rete di alleanze e rivalità.
Le coalizioni più solide di questo periodo includevano Roma - Atalanta - Juventus, Lazio - Bari - Torino, Inter - Fiorentina - Sampdoria, Milan - Genoa - Bologna, anche se è curioso notare come oggi queste relazioni, un tempo cordiali, sono per la maggior parte deteriorate e sono state sostituite da altre alleanze, che un tempo erano atroci rivalità.
Il 1982 passò alla storia per la vittoria della Coppa del Mondo dell'Italia in Spagna. La finale fu contro la Germania a Madrid, di fronte a una folla di 100.000 spettatori, per la maggior parte italiana. C'erano anche un gran numero di bandiere ultra, ma questo si è rivelato essere l'unico vero momento di aggregazione a livello nazionale. Un caso praticamente unico in Europa, se si considera la coesione caratteristica dei tifosi inglesi, tedeschi ed olandesi quando seguono le loro squadre nazionali.
Le ragioni di questa divisione irreparabile tra i sostenitori italiani, incapaci di unirsi nemmeno per sostenere la squadra nazionale, sono probabilmente radicate nella rivalità secolare tra un certo numero di città più antiche del paese. In ogni caso, gli ultras si sono presentati come modello continentale, dando luogo ad un movimento che è stato in grado di toccare tutta l'Europa.
La trasferta divenne il momento fondamentale della vita di un ultra, frequentata solo dai sostenitori più fanatici senza paura dei potenziali pericoli presenti. Si trasformò in un metodo di selezione del gruppo e la prova della resistenza dei legami all'interno di esso. Essere presente in uno degli stadi "caldi" era un onore riservato a pochi. Essere lì, senza uno striscione, veniva considerato un atto di codardia.
L'incremento del numero di viaggiatori nei giorni di trasferta, significò anche sforzi considerevoli per le Ferrovie dello Stato, che dovettero pianificare "treni speciali" per i tifosi. Lo spettacolo organizzato degli ultras coinvolgeva intere curve, migliaia di persone. L'acquisto di migliaia di palline colorate o pompon era estremamente costoso, ma la concorrenza per lo spettacolo più originale era feroce.
Mentre gli ultras della Sampdoria esibirono una bandiera di 90 x 32 metri, quelli della Roma distribuirono diecimila cartellini rossi e gialli al pubblico; gli ultras del Torino coprirono la curva Maratona del loro stadio con bande rosse e bianche di stoffa, e gli ultras del Napoli erano famosi per scagliare migliaia di rotoli di carta igienica in campo.
Ma affiancate a queste note di colore c'erano sempre notizie di cronaca nera sui violenti incidenti che avvenivano negli stadi. Si diffuse l'uso dei coltelli, soprattutto a Milano e Roma, mentre gli ultras dell'Atalanta diventarono famosi per essere molto turbolenti, ma pronti ad usare solo pugni e stivali.
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